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24.10.09

IL POSTO IN CUI VIVERE

E’ da anni che cerco il posto ideale in cui vivere tutta la vita, e sempre più fortemente mi assale l’idea che questo posto non esista, e, con molta retorica, credo si trovi solo in noi stessi.
Da che la ricerca e il viaggio siano le poche cose della vita a renderti vivo.
Assieme all’idea e alla voluttà di cambiamento, un posto o un cibo che cambia sempre di sapore, come un’aria, una stagione, una possibilità.
Da 10 anni ritorno in Grecia perché è come una calamita di ferro nella tiepidezza dell’aria. Il paradosso dell’esistenza.
La scoperta della metropoli poi ha insinuato in me milioni di presupposti per continuare sempre una strada diversa.
Si, perché la metropoli è come un organismo vivente, dalla facciata grigia ma dai sotterranei palpitanti, da sempre ispira poeti, artisti, girovaghi. Purtoppo invece la provincia è un organismo morente.
Il caos della metropoli a me assomiglia alle onde del mare e di notte sono sicura di essere cullata da queste scosse d’acciaio e di percorsi.
La scia delle auto la sera, mi ricorda l’aurora delle isole che hanno colori impensabili, anche se purtroppo sono colori d’inquinamento..
Ma è il mondo in cui vivo, la città in cui palpito e cammino. Sempre pensando di essere in un altro posto, con qualcun altro, e una persona diversa da me.
Le mie moltitudini giocano con le calche e le marree dai mille disegni sulla battigia, secondo dopo secondo.
Un secondo eravamo a Vienna nel silenzio, con la neve che scendeva dal rumore ovattato, dal gelo che faceva come perdere i sensi, di dove fosse una strada, un’auta sepolta, un cartello per la stazione sudbanoff.
Avevamo l’opera di fianco, per due mesi potevamo sentire le arie in tedesco di liriche famose.
E il pane nero e ogni grasso per rotaie gelate continuavano il viaggio. Assieme alla sensazione di grande freddo.
Il fuoco in casa e le finestre a specchio dei vicini, le luci e l’odore di carne ribollita.
Siamo su una strada del mio immaginario come la steppa russa, stiamo andando a Budapest dove un varco che pare un autogrill molto misero è in realtà un change per i fiorini, o forint…

10.10.09

Articolo Diario Messaggero


Tra la luce e la bellezza del caos

Caterina e Andrea scrivono da Atene

09/10/2009

Caterina Minganti e Andrea Nanetti, due imolians a pieno titolo, ci scrivono da Atene, dove si trovano con la piccola Viola. E la loro famigliola sta per ampliarsi...
m.ad.m.

«La nostra storia comincia nel 1999, quando da ’morosi’, coltivavamo l’interesse per la cultura ellenica, la storia dell’arte e il senso del viaggio. Andrea stava finendo il dottorato in storia bizantina ed era già stato ad Atene per quattro anni come borsista dell’Ateneo di Bologna e della fondazione Onassis; alla fine di quell’anno io visitai per la prima volta quella terra tanto sognata, tra Kerkira, Atene, le Cicladi e il Peloponneso, dove abbiamo istituito la scuola Meduproject di greco moderno.
Trovai subito un feeling speciale con questa terra: la sua lingua dai suoni come liriche cantate, la sua luce accecante e quell’atmosfera mediterranea di pace e di cicale che cantano sugli ulivi. Decisi immediatamente di chiedere l’Erasmus all’Accademia di Belle Arti che frequentavo, e nelle tre scelte in Europa che potevo presentare scrissi tre volte: Atene Atene Atene.
Così arrivai in questa città meravigliosa e unica, dispersa nei sobborghi vicino alla grandissima strada che portava al vecchio aeroporto e al mare; avevo affittato tramite un annuncio Erasmus una stanza nel quartiere di Agios Dimitrios, lontano dal centro, un autentico quartiere popolare greco.
Dividevo la casa con un’irlandese e una parigina, colleghe dell’Accademia di Atene che si trova nella strada verso il Pireo.
Da subito imparai un diverso modo di vivere, di concepire una città: non era più il centro di Imola con le solite persone, le stesse facce che vedevo mille volte e che il più delle volte schivavo, forse perché eterni testimoni dei miei sogni mai realizzati... Perché ’andare’ vuol dire provarci, con coraggio, sacrifici, andar via significa volere sempre di più, e non terminare mai quel viaggio di ricerca, quel sogno.
Percorrevo per la prima volta strade enormi, guardavo le luci di milioni di finestre e di balconi da cui spuntavano sempre un sorriso, una musica, un bouganville, da quel clima meraviglioso che resta per tutto l’anno. Notai fin dall’inizio i modi greci, a volte un po’ maleducati con le automobili, con i taxi, ma di una cordialità estrema con i turisti, gli italiani in particolare, come un senso di ammirazione, e poi la spiritualità di certe signore che si fanno il segno della Croce ad ogni chiesa che incontrano, il rigirare dei ’komboloi’ tra le dita di ogni buon greco, gesti di cultura orientale che hanno un senso unico per ogni persona, che tra le dita passano come una promessa o un proposito.
Una metropoli come Atene ha tutto quello che ogni altra metropoli possiede: i musei, i teatri, i bar più alla moda, il design, i negozi, la cultura ma, in più, Atene ha tantissime altre bellezze: la più bella è mantenere le sue tradizioni, le antichità ovviamente, ma anche certi quartieri dai profumi orientali, stesi come tappeti da quelle case senza tetti con gli impianti solari che luccicano riflessi nella luce. Lo strano assemblaggio di tutto, i mega cartelli pubblicitari, il bianco, lo sporco, gli alberi imbrattati con la calce. E poi il mercato comunale, la Pasqua greca che esplode di fuochi d’artificio, di luce tramandata e scambiata a ogni candela con parole come ’Cristo è risorto - è la verità’. Con gli agnelli arrosto in ogni strada, le uova colorate di porpora e la musica rebetika.
Nel 2003 abbiamo deciso di sposarci nell’isola di Syros con rito cattolico greco, in mezzo a due montagne da cui si vede il mare. Due montagne che scandiscono i canti ortodossi, l’incenso, le icone bizantine e la chiesa cattolica di San Giorgio, ma ancora una volta ’una faccia è una razza’, perché la Pasqua viene festeggiata insieme. Dopo dieci anni dal mio passaggio, il caos rimane e non si ferma mai, i clacson assordano, i venditori ambulanti urlano tra l’odore acre di carne e di pesce, e ogni volta ho sempre voglia di ritornare, per viverci qualche mese e sentirmi anch’io greca, in armonia, persa e alienata nel caos, tra migliaia di persone, di storia, storie, luce, eternità.
Così ogni anno cerchiamo di fare combaciare i nostri lavori con la Grecia, Andrea come storico, e io da artista.
Andare via ci insegna a vivere nella totalità, a ritornare e a riscoprire le nostre radici. Certo, amo molto la mia città, nel senso della famiglia, degli amici e dei luoghi a me cari, come il fiume, Faenza, e la vicinanza alle bellissime città italiane, ma ho sempre voglia di cambiare, di sentire questi gusti diversi dalla solita minestra al ragù. Ci piace fare colazione alla greca con pomodori e olive, mangiare le viscere alla brace a Pasqua, bere il caffè col fondo e l’ouzo come aperitivo se siamo qui e, in ogni luogo, quello che è di quel luogo.
Ci piace stare in cima all’Acropoli all’ora del tramonto e vedere il cielo che si fa rosa, sia lì o dal nostro balconcino, sia a Imola, ad Atene, o in tutti i posti in cui abbiamo vissuto in questi anni: siamo stati all’Università di Princeton per tre mesi, e a New York dove ad Andrea è stata offerta una ’global distinguished professorship’ in studi medievali. Bambini permettendo speriamo di usufruirne almeno per un trimestre l’anno.
Da ogni finestra in cui ci ritroviamo facciamo progetti sui lavori futuri, sui percorsi, sulle ricerche, passando da Venezia, dalla Sicilia, Vienna, Roma, Budapest, e un giretto nella nostra campagna imolese guardando la bellissima villa Muggia o uno dei posti che nel mio immaginario mi dà nostalgia, come il viale Dante, e l’architettura razionalista; ma niente manca, perché tutto ritorna prima o poi, con la vita dei figli che continuano i nostri sogni.
I contatti Erasmus mi hanno permesso di realizzare due mostre importanti in Grecia, a Syros e a Sparta e tuttora continuo a lavorare come pittrice, a fotografare e a scrivere su Atene...
Al momento Andrea insegna storia bizantina nell’Università americana e io sto realizzando il mio progetto di un corso di educazione artistica per bambini, ispirandomi al metodo Munari.
Questa è la nostra vita da imolians...
Caterina e Andrea».